Genitori e Figli

Madre-neonato: come comunicano?

comunicazione, psicologia tra madre e neonatoTra ogni donna e la sua creatura, già nel corso dei nove mesi dell’attesa, si sviluppa un dialogo che conduce a una profonda complicità destinato a proseguire nel periodo successivo al parto, nel quale all’esperienza emozionale del neonato farà riscontro la risposta affettiva della mamma.

Alla nascita il piccolo non è una “tabula rasa”, ma è naturalmente dotato di un equipaggiamento che lo predispone ad interagire subito con la sua mamma, sin dalla prima volta in cui lei lo avvolge delicatamente nel suo abbraccio.
Anche la donna che diventa madre per la prima volta può quindi contare sul contributo e la partecipazione che quel minuscolo e morbido batuffolo, apparentemente così vulnerabile, può fornire alla sua mamma, per aiutarla a trovare quella modalità relazionale che renderà la loro coppia unica fra tante.
Quando si considera la relazione madre-neonato in termini di attaccamento si è portati a pensare che sia il piccolo ad attaccarsi alla sua mamma, dato che è totalmente dipendente da lei per la sua sopravvivenza. E’ la mamma che provvede a nutrirlo, ha cura della sua pulizia e gli trasmette calore e affetto, ma il bisogno di attaccamento è presente anche nella madre. Il rapporto che si instaura tra la neomamma e il suo bambino è di soddisfazione e scambio reciproci. Madre e figlio sono uniti da un legame istintivo che è di matrice biologica, ma viene contemporaneamente influenzato da variabili di ordine soggettivo, per esempio le modalità di comportamento con cui la mamma si prende cura del suo bambino.

Le comunicazioni silenti

Fra madre e neonato vi sono silenti comunicazioni precoci. La vitalità della intercomunicazione tra madre e neonato si mantiene in modi specifici. C’è il movimento connesso al respiro della madre, al calore del suo respiro e anche al suo odore. Vi è inoltre il rumore del battito cardiaco, un rumore ben noto al bambino.
Un esempio di questo fondamentale comunicare fisico è dato dal cullare in cui la madre adatta i propri movimenti a quelli del bambino. Il cullare lo pone al riparo dalla depersonalizzazione e dalla perdita dell’unità psicosomatica.
La comunicazione sta nella reciprocità dell’esperienza fisica.
Il contatto fisico costituisce per ogni neonato un bisogno indispensabile alla sua sopravvivenza, al punto da essere considerato ancora più importante del bisogno di essere nutrito.
Quando la mamma lo tiene tra le braccia, il piccolo si sente rassicurato e protetto e questi momenti rappresentano un incontro nel quale la donna ha la possibilità di esprimere al proprio figlio tutta la sua tenerezza e il suo amore.
E’ dal contatto fisico reciproco che si sviluppa il legame di attaccamento, entrambi i partner della relazione hanno l’opportunità di vivere intense emozioni e per una madre è molto importante non solo andare incontro alle esigenze della propria creatura, che ha bisogno di essere coccolata, ma anche riuscire a vivere questi momenti come investimento e soddisfacimento della propria affettività. Ogni abbraccio diventerà allora un’occasione magica di condivisione emotiva.
E’ inoltre fondamentale il volto della madre: nel viso della madre il bambino vede se stesso. Si può considerare il volto della madre come un prototipo di specchio.
Da queste comunicazioni silenti, la madre rende reale proprio ciò che il bambino è pronto ad aspettarsi, così da dare al bambino l’idea di che cosa sia ciò per cui è pronto.
Ad esempio, il bambino dice (senza parole): “Avrei voglia …” ed ecco che arriva la madre e gli cambia posizione oppure è pronta a dargli da mangiare e il bambino può allora finire la frase: “…di essere girato, di mangiare, del capezzolo, del latte” e così via (D.W.Winnicott).
Ciò che fa la madre quando assolve al suo compito abbastanza bene è di facilitare i processi evolutivi del suo bambino, permettendogli di realizzare in qualche misura il suo potenziale ereditario.
I fallimenti ci sono, ma i successi si manifestano nella crescita personale che un apporto ambientale riuscito avrà reso possibile.

Il contenimento

La madre può farsi piccola fino a una modalità infantile di esperienza, ma il bambino non può farsi grande fino a raggiungere la complessità dell’adulto.
Quindi il linguaggio di per sé non è importante.
La capacità della madre di rispondere ai bisogni in continua evoluzione del suo bambino permette a quest’ultimo di sperimentare un contenimento reale. Questa “comunicazione” è per lo più silente.
Gli esseri umani sbagliano spesso e, nel corso delle cure di ogni giorno, una madre cerca continuamente di riparare i suoi insuccessi. Questi insuccessi relativi, se immediatamente corretti, hanno senza dubbio come risultato finale un potenziamento della comunicazione e così il bambino impara qualcosa del successo.
Un adattamento riuscito dà un senso di sicurezza, una sensazione di essere stati amati.
Quando l’errore non è riparato entro il tempo dovuto allora parliamo di deprivazione.
Nell’esperienza di un contenimento abbastanza buono si può affermare che la madre è stata in grado di fungere da Io ausiliario in modo tale che il bambino ha avuto un Io fin dal principio, sostenuto da un adattamento sensibile della madre e della sua capacità di identificarsi con il bambino nei bisogni fondamentali.
L’identificazione è un processo messo in evidenza dalla psicosintesi, fondamentale per riuscire ad appropriarsi di parti di sé con consapevolezza, nonché ad entrare maggiormente in empatia con l’altro.
L’empatia è la capacità di immedesimarsi nell’altro temporaneamente e parzialmente, pur restando sempre se stessi.
La sensibilità materna gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale, emozionale e cognitivo del bambino fin dai primi giorni di vita.
Il concetto di sensibilità materna è stato introdotto da Ainsworth (1974) per descrivere la capacità della madre di recepire ed interpretare precisamente i segnali e le implicite comunicazioni insite nel comportamento del bambino e di rispondervi in modo adeguato e rapido, rendendo le proprie risposte temporalmente contingenti ai segnali del bambino.
La sintonizzazione tra i ritmi della neomamma e quelli del bambino non è automatica, immediata e uguale per ogni coppia perché entrano in gioco fattori strettamente legati alla storia personale della donna, al modo con cui lei stessa ha vissuto il rapporto con la propria madre, al clima familiare nel quale è cresciuta, al sostegno che riceve nel periodo in cui affronta la maternità, oltre a quelli relativi del bambino, che già da neonato presenta un suo temperamento.

Autore

Elisabetta Marra

Elisabetta Marra

Psicologa e Psicoterapeuta specializzata in Terapia psicosintetica, si occupa dei disturbi d'ansia, attacchi di panico, disturbi dell'umore, disagio esistenziale, lutto, autostima.

Lascia un commento