Crisi e conflitti

La rabbia non esplicita: il comportamento passivo aggressivo

Rappresentazione del comportamento passivo aggressivoVi è mai capitato di conoscere qualcuno che non si prende mai le proprie responsabilità e dà la colpa sempre agli altri? Oppure  avete mai conosciuto una persona che sembra amichevole ma la sensazione che provate quando gli siete vicino è quella di ostilità? O ancora, state lavorando con qualcuno che, sistematicamente, a parole è d’accordo con voi, ma poi a fatti mette in atto dei comportamenti che mettono in difficoltà il vostro lavoro?

Magari di primo acchito non direste mai che queste persone stanno agendo in maniera aggressiva, perché in realtà la loro aggressività non è espressa esplicitamente, è mascherata, si manifesta in forma indiretta. Questa modalità di azione la possiamo ritenere dal punto di vista psicologico un meccanismo di difesa: in questo modo la persona che lo utilizza evita di entrare in contatto con la rabbia e con le conseguenze rispetto ad una presa di posizione circa la propria aggressività. Per chi non ha un rapporto sano con l’aggressività può risultare molto difficile la gestione di un “emozione base” come la rabbia.

Il comportamento passivo – aggressivo

Quando una persona mette in atto questa risposta comportamentale con una certa continuità, è come se, in quel momento, vestisse i panni di un personaggio della commedia dell’arte: il passivo aggressivo. Il passivo aggressivo, per esempio, procrastina le attività concordate, oppure mette il broncio e si lamenta quando l’altro lo mette alle strette. Di solito non comprende le reazioni dell’altra persona di fronte ai suoi atteggiamenti, e questo gli fa assumere spesso l’atteggiamento della vittima.

Facciamo un esempio. Sara chiede a suo marito: “Marco mi accompagni all’Ikea?”.  Lui  non ne ha nessunissima voglia, ma gli dice ugualmente di sì. Poi succede che Marco per tutto il tempo che si trova all’Ikea è irritabile  o tiene il muso. Lei allora gli chiede: “Ma hai qualcosa? Sei arrabbiato?”. E lui gli rispondo irritato: “No. Non c’è niente! Dai muoviti, quando ce ne andiamo?!!”. Intanto le ore passano e il risultato è quello di una giornata pessima trascorsa insieme.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché ha accettato di andarci? Se Marco lo sapesse potrebbe rispondere alla domanda, ma spesso e volentieri si è inconsapevoli del mondo inconscio che ci guida nelle nostre scelte.

Nell’esempio in questione, come ciliegina sulla torta, Marco potrebbe addirittura arrivare a pensare o dire: “Non mi hai nemmeno detto grazie per averti accompagnato all’Ikea! Vergognati!”

Ma ci mancherebbe, perché mai Sara avrebbe dovuto ringraziarlo dopo una giornata terribile passata insieme? E ovviamente Marco non capisce perché.

Normalmente un uomo non è passivo aggressivo in tutti i momenti della sua giornata, ma solamente quando entra in alcuni specifici schemi relazionali. In queste particolari occasioni si veste degli abiti del “passivo aggressivo”, scegliendo inconsciamente l’aggressività passiva come un comportamento pratico e conveniente, invece di un aperta discussione che potrebbe sfociare in un conflitto vissuto come faticoso. Nel breve periodo, vestire i panni del passivo aggressivo può risultare conveniente e meno faticoso, anche perché richiedono meno competenze relazionali, assertive ed emotive, ma alla lunga è  deleterio nella costruzioni di rapporti umani di qualità.

Alcune persone utilizzano questa modalità senza accorgersene, pensando davvero di essere nel giusto, di essere disponibili e generosi. Molto spesso questa modalità nasce proprio come esigenza per mettersi al riparo dall’assumersi la responsabilità verso una propria emozione, come la rabbia.

Frasi tipiche dello stile passivo aggressivo

Vediamo alcune espressioni che possono caratterizzare una subpersonalità passiva aggressiva:

“Io ho ragione, sei tu che sbagli.”

“Non è colpa mia!”

“Io non dico bugie. Sto solo dicendo la ‘verità’ “

“Posso fare tutto quello che voglio perché io sono speciale e tu non lo sei.”

“ti faccio arrabbiare?? E perché? Io non ho fatto nulla. Il problema è tuo”

“Dai, te la sei presa?? Ma sto scherzando”

“Tu pensi che io sia pazzo!”

Queste frasi le possiamo ritrovate in qualunque contesto, ma per alcune persone diventano delle frasi simbolo. Sono tipiche, per esempio, di chi si vive spesso come “Vittima, proprio perché non comprendono le reazioni che hanno le altre persone di fronte ai loro atteggiamenti. Diventano sensibili alle persecuzioni. Partono dalla convinzione che le loro azioni sono nel giusto e che saranno apprezzate: in questo modo si sentiranno valorizzati. Invece poi si scontrano con la frustrazione della mancata realizzazione delle loro aspettative, iniziano a sentirsi “vittime di ingratitudine”, il che le rende persone passive aggressive arrabbiate. Magari si chiudono in un silenzio senza spiegazioni, oppure in frasi del tipo: “ti devi vergognare!”, a cui però non seguono corrette motivazioni. La loro rabbia si basa su una costellazione di aspettative che possono renderli vulnerabili a improvvise eruzioni vulcaniche.

Normalmente siamo portati a pensare che le nostre emozioni dipendono o dalle circostanze o dal comportamento altrui. Ma questa è un illusione. È una delle convinzioni più difficili da sradicare.

Un capitolo meritano, invece, le scuse che potrebbero trovare le persone che si trovano in relazione con i passivi-aggressivi. Queste potrebbero essere:

Cerco di essere gentile in ogni momento in modo da non turbarlo/la”     |     “Cerco di farle / fargli capire quello che lui/lei sta facendo in modo che lei/lui cambierà.”      |     “Lei/lui cambierà per me, perché lui/lei mi ama.”     |     “Mi assumo la responsabilità per lei/lui ”     |     “Non voglio dare spazio alla mia rabbia perché le persone belle non dovrebbero arrabbiarsi.”     |     “Mi sento in colpa per avere questi sentimenti negativi sulla persona che dovrei amare.”     |     “Quando lei/lui dice che è colpa mia, mi sento così male, mi blocco e non riesco a fare niente.”     |     “Io prendo tutto quello che lei/lui dice alla lettera, seriamente, come se avesse senso.”     |     “Quando non riesco a dare un senso di quello che lei / lui dice, io mi sento lo stesso come se fosse colpa mia. ”     |     “Io gli lascio il comando. Il potere è nelle sue mani.”     |     “Cerco di ragionare con lui/lei, ma non sono abbastanza intelligente per tenere il passo.”

Come possiamo notare, c’è proprio un incontro-incastro tra due modalità complementari, tra due sub-personalità.

Disinnescare il circolo vizioso aggressivo – passivo

Le persone possono imparare le procedure per disattivare emotivamente questo circolo vizioso “aggressivo-passivo”. Solo imparando a disinnescare questo tipo di dinamiche si potranno dire liberi. Così potrà accadere che invece di difendersi contro di lei / lui, possono convenire che lui / lei si sente in un certo modo; possono calmare lui / lei dicendo: “E ‘terribile quando ciò accade, non è vero?” oppure “Non ti biasimo per sentirti in quel modo”, o “Questo deve essere doloroso per te”.

Possiamo anche imparare a convalidare il suo/la sua rabbia. “Mi dispiace che tu sia così arrabbiato.” Attenzione, quello di cui parlo non è imparare a razionalizzare, ma ad entrare in empatia con l’altro. Allora, verrà facile dire: “Mi dispiace che ti senti vittima di tutto questo. Non ti biasimo per essere arrabbiato “. Il passo successivo  sarà quello di dire all’altro che avendo  notato la sua rabbia, lo invitiamo ad esprimerla esplicitamente, senza maschere.

Se impariamo a conoscere cosa sta accadendo, quali ragioni inconsce si muovono sotto la superficie delle cose, saremo in grado di essere creativi e trovare ancora più modi per disinnescare queste dinamiche.

Autore

Gioele D'Ambrosio

Gioele D'Ambrosio

Esperto in disturbi d’ansia e dell’umore, attacchi di panico, dipendenze affettive, supporto alla genitorialità e alla famiglia. Conduce gruppi per la crescita personale, lo sviluppo della consapevolezza e della spontaneità.
Nel suo studio mette in pratica i principi della Psicosintesi Terapeutica che non si limita all’intervento sul sintomo, ma mira all’autorealizzazione dell’individuo.

3 Commenti

  • Salve.
    Mi permetto di chiedere qualcosa, sperando di non essere inopportuna. Sono un po’ confusa sulla descrizione del comportamento passivo-aggressivo.

    In parecchi articoli, ho trovato annoverato -come comportamento fra i più tipici o addirittura come UNICO esempio citato- il ritardo, la procrastinazione.
    In base a ciò, evidentemente devo prendere atto di essere passivo-aggressiva, nonostante la mia (ormai proverbiale) procrastinazione nella maggior parte delle situazioni, specie recenti, abbia danneggiato solo me stessa:
    sia sul lavoro (facendo che altri vengano ovviamente preferiti a me);
    che nella vita sociale (mi perdo sempre un sacco di cose, perché non arrivo in tempo);
    o addirittura solo nella mia vita privata (spendo di più per il cibo, oppure mangio male perché non vado a fare la spesa finché poi chiudono i negozi e/o non ho più tempo di cucinare).

    Potrei andare avanti all’infinito con esempi di procrastinazione da cui gli altri non sono nemmeno lontanamente sfiorati, mentre io mi deprimo, corro in preda all’ansia, e amenità varie. Però, va bene, non lo discuto giacché non ho alcuna difficoltà a credere di avere rabbia repressa o altro tipo di malessere (e saprei anche perché).

    Quello che invece non mi è chiaro riguarda il seguente comportamento:
    Io ho 44 anni e recentemente sono tornata a casa dei miei genitori, per restarci qualche mese finché pianifico un prossimo progetto, per seguire il quale ho lasciato la città dove abitavo (quindi anche il lavoro e la casa).
    A casa dei miei c’è ancora la mia camera di quando vivevo con loro, fino ai tempi dell’università. E in camera mia ci sono tutti i miei oggetti ed effetti personali. Io sono disordinata, ovunque viva, ma sono la classica persona che trova le cose nel proprio disordine.
    Attenzione, qua viene il problema: mia madre è la classica mamma che entra in camera dei figli e mette a posto. A modo suo. Finché ero adolescente, sicuramente mi faceva comodo.
    Da più grandicella mi faceva ancora piacere, ma iniziava a crearmi problemi all’ora di trovare “quella maglietta che avevo messo qui” o “quella fotocopia che avevo lasciato là” e che erano sempre in posti in cui io non le avrei mai messe (specie il materiale di studio sistemato arbitrariamente, più che i vestiti nei cassetti).
    Diciamo che sono 20’anni (certo, solo nei periodi in cui ho vissuto con i miei o sono stata in vacanza da loro), vent’anni che periodicamente, sistematicamente, frequentemente, devo ripetere a mia madre che NON MI FA ALCUN PIACERE che metta le mani nelle mie cose, oltretutto cambiando di posto in maniere del tutto arbitraria, senza certamente un criterio mio per ritrovarle subito. E ho sottolineato il “non mi fa alcun piacere”, perché sistematicamente lei mi risponde “eh, ma io volevo farti un favore, invece di ringraziarmi…”.

    MA non è tanto il gesto in sé, e il fatto che poi io non trovo le mie cose -e che spesso mi fa imbestialire, finendo col litigarci-.
    È che ormai provo una sensazione opprimente per questo suo deliberato ignorare la mia richiesta, questo suo decidere delle mie cose, questo suo violare continuamente la mia privacy (non l’ha mai rispettata in nulla).
    Anche perché, diciamolo, a lei cosa cambia che le mie fotocopie siano sul tavolo o in mezzo alla libreria? Evidentemente nulla, “l’ordine” è poco più di una scusa!

    Finalmente la DOMANDA: Sono io paranoica, o è lei ad avere un comportamento problematico? Vorrei solo capire questo.

    Grazie mille e mi scuso per la prolissità!

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